“Jesi è una città (in)sicura?”
"La sicurezza è un tema complesso che necessita una pluralità di punti di vista"

Il tema della sicurezza viene ampiamente trattato sia a livello generale che locale, di conseguenza suscita interesse e dibattiti da parte della comunità. Non avendo dati specifici del territorio di Jesi, poiché l’Istat non pubblica dati disaggregati per ogni singolo Comune, e volendo approfondire questo argomento, abbiamo raccolto diverse testimonianze da cittadini e istituzioni locali.
Secondo il sindaco Lorenzo Fiordelmondo e il comandante della Polizia locale Cristian Lupidi, Jesi è una città vivibile e sicura con alcune peculiarità, non definite come criticità, sulle quali hanno sempre lavorato e continueranno a lavorare. Affermano inoltre che i reati più diffusi riguardano il patrimonio e lo spaccio di sostanze stupefacenti, mentre quelli contro la persona sono meno commessi. La Polizia locale, su preciso mandato dell’Amministrazione, non ha una funzione repressiva, bensì di prossimità verso i cittadini in quanto disponibile a rispondere alle loro domande nei quartieri della città.
Quello della sicurezza, peraltro, è un discorso più ampio: riguarda ad esempio anche il tema della sicurezza stradale, che il Comune ha particolarmente a cuore. In ogni caso, aggiunge il sindaco, “la vera sicurezza si ha quando tutti coloro che si sentono cittadini svolgono una funzione educante, comportandosi bene e cercando di attivare un comportamento positivo anche negli altri”.
Un esempio potrebbe essere riqualificare gli spazi, invitando i cittadini a momenti aggregativi che consolidano anche le relazioni e uno di questi spazi potrebbe essere il quartiere di S. Giuseppe, più volte nell’occhio del ciclone quale area urbana poco sicura. Un’operatrice della Biblioteca dei ragazzi ha dichiarato di aver notato partecipazione da parte dei residenti del quartiere, non solamente agli eventi organizzati dalla biblioteca nei parchi. Propone di pianificare iniziative in altre zone di Jesi e non solo in centro, per rendere tali zone più vivibili e accoglienti. Inoltre dichiara che, vivendo e lavorando nel suddetto quartiere, si sente al sicuro.
Abbiamo anche intervistato una signora incontrata per strada, secondo la quale il vero problema non è la sicurezza, ma l’integrazione tra culture diverse. Collegato a questo, un giovane che lavora nel quartiere parla di sostenere chi arriva, informandolo sulle abitudini del luogo.
Parlando di sicurezza, non si può non fare accenno al fenomeno delle “baby gang”, di cui si discute tanto in questo periodo. Pertanto, abbiamo deciso di intervistare Deborah Ucciero (assistente sociale) e Alessia Casadei (pedagogista) dell’USSM di Ancona, che è l’ufficio dei Servizi Sociali minorili che si occupano di tutti quei ragazzi minorenni, dai 14 ai 25 anni di età, che hanno commesso un reato e quindi sono sottoposti a un procedimento penale. Secondo le due operatrici si può parlare di “baby gang” quando un insieme di ragazzi mette in atto delle azioni criminali reiterate, seguendo un loro progetto che può essere legato a diversi fattori. Si tratta di un gruppo ben strutturato, perché nella “baby gang” c’è proprio una coesione e c’è gerarchia, con un leader e i vari affiliati (a volte ci sono proprio riti di affiliazione) che si sono organizzati per commettere quell’azione illegale e lo fanno in maniera abbastanza sistematica. Invece vediamo più reati di gruppo, che sono legati a risse, lesioni, atti di vandalismo, che avvengono in maniera più sporadica e senza una struttura ben definita, perciò in quel caso non si tratta di “baby gang”. Quali sono le ragioni che spingono i ragazzi ad entrare a far parte delle baby gang? Le ipotesi sono tante, possiamo vedere che esistono tre aree ben distinte. Ci sono “baby gang” costituite da ragazzi di ceto medio, che vengono soddisfatti solo a livello materiale e non morale. Poi ci sono i gruppi costituiti da ragazzi che provengono da famiglie con condizioni economiche e sociali molto difficili, che nel gruppo trovano l’appartenenza e il riconoscimento che non hanno altrove. Infine troviamo un’altra tipologia, rappresentata da quelli che invece hanno una forte impronta d’aggressività acquisita attraverso tutti gli input ricevuti da social media e altro, ad esempio serie tv, o da adulti che non rappresentato modelli positivi. Gli autori dei reati sono prevalentemente di genere maschile, mentre le poche ragazze sono quelle che riscontrano situazioni familiari veramente compromesse. Da non sottovalutare, come già evidenziato, il ruolo svolto dai social media e serie tv, che spesso rimandano una rappresentazione non realistica del fenomeno, che rischia di essere emulato.
In conclusione, la sicurezza è un tema complesso che necessita una pluralità di punti di vista, ognuno dei quali ha il proprio valore.
Erica Buscarini
Martina Castiglione
Alice Ciattaglia
Sofia Lanari Tisba
III C LES “Galilei” – Jesi
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