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La programmazione di AMAT nel mese di ottobre 2017

Tanti gli appuntamenti in tutta la regione

Teatro Rossini

La programmazione di AMAT nel mese di ottobre 2017. Tanti gli appuntamenti in tutta la regione:

DAL 5 AL 8 OTTOBRE | GIO, VEN, SAB ORE 21; DOM ORE 17
PESARO | TEATRO ROSSINI
CTB Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati
MEDEA
di Euripide
traduzione Umberto Albini
con Franco Branciaroli, Antonio Zanoletti
Alfonso Veneroso, Tommaso Cardarelli, Livio Remuzzi
e il restante cast in via di definizione
regia Luca Ronconi ripresa da Daniele Salvo
scene Francesco Calcagnini riprese da Antonella Conte
costumi Gianluca Sbicca
luci Cesare Agoni

Franco Branciaroli reca il suo contributo al ricco percorso sul Mito, riallestendo uno spettacolo evento del teatro italiano: la Medea per la regia di Luca Ronconi, di cui fu protagonista straordinario ed acclamato nel 1996.
Un doveroso omaggio al grande Maestro scomparso nel 2015 da uno degli artisti che ha lavorato con lui più a lungo e in maggiore vicinanza (basti ricordare spettacoli impressi nella memoria collettiva come La vita è sogno, Prometeo incatenato, Lolita), e un’occasione imperdibile di rivedere una delle pietre miliari della storia registica ed interpretativa del secondo Novecento.

Le letture in chiave psicologica di Medea portano a considerare questo personaggio il prototipo dell’eroina combattuta tra il rancore per il proprio uomo e l’amore per i propri figli; le analisi sociologiche tendono a trasformare la principessa della Colchide in una sorta di precorritrice del movimento femminista. Se si cerca di restituire alla tragedia il suo autentico significato ‘politico’, ci si accorge però che, per il pubblico ateniese dell’epoca di Euripide davanti al quale Medea fu rappresentata, lo snodo principale dell’azione doveva essere il dialogo tra Medea ed Egeo: in virtù dell’accordo stabilito tra i due personaggi, proprio Atene si prepara infatti a diventare teatro per la devastante passione di Medea, una volta che quest’ultima abbia portato a termine a Corinto il proprio disegno di vendetta. Al di fuori di ogni cedimento a suggestioni introspettive, Medea tende dunque a presentarsi non tanto come una donna lacerata dall’amore o come una femminista ante litteram, quanto piuttosto come una ‘minaccia’, e per di più come una ‘minaccia’ che incombe imminente sul pubblico. Sin dalla prima lettura dell’opera risulta evidente che l’inganno è la principale arma della principessa barbara: ella non raggira soltanto Creonte, Giasone ed Egeo, ma cela i propri intenti anche al coro svelando solo all’ultimo il proprio segreto proposito di uccidere i figli avuti da Giasone. L’asse strutturale portante dell’architettura tragica – e cioè il rapporto tra coro ed eroe – è dunque inquinato sin dall’inizio da una perversa arte dissimulatoria: Medea riesce a guadagnarsi la complicità delle ‘amiche’ coreute occultando i propri reali progetti dietro le sue magniloquenti difese del sesso femminile. La scelta di un interprete maschile come Franco Branciaroli per il ruolo di Medea consente di tentare un’approssimazione all’oggettività della tragedia. Spostando il baricentro del dramma dal rapporto Medea-Giasone a quello Medea-coro e sottraendo parallelamente il testo alle interpretazioni ‘psicologiche’ e socialmente ‘rivoluzionarie’, Medea svela infatti la propria autentica identità di maschera impenetrabile, figura di un’irriducibile alterità pronta a pietrificare, come una nuova Medusa, chi cerchi di decifrare il suo segreto. L’ossimoro di una Medea-uomo traduce scenicamente l’ambiguo statuto del ‘personaggio’: il pubblico vede l’enigma nefasto che al coro è nascosto. Sul piano della ‘ricostruzione’ filologica occorre poi rilevare che, considerati in prospettiva storica, i valori sui quali Medea costruisce il proprio agire sono eminentemente maschili: nella cultura greca del V secolo avanti Cristo la ‘fama’ che preoccupa l’eroina appartiene infatti all’universo etico dell’uomo. L’alterità di Medea non è dunque puramente geografica, ma essenzialmente ‘storica’: il personaggio nasce in un mondo ancora popolato da certi dei e si trova esiliato in una cultura nella quale vigono interessi e convenzioni che hanno decretato il tramonto dei valori tradizionali. Il terribile stretto dell’Ellesponto che Medea ha superato al seguito degli Argonauti non è solo un luogo geografico, ma è una metafora di una frattura storica, di una svolta epocale. Luca Ronconi

7 OTTOBRE | ORE 21
RECANATI | TEATRO PERSIANI
L’ARTE DI ESSERE FRAGILI
COME LEOPARDI PUÒ SALVARTI LA VITA
racconto teatrale di e con Alessandro D’Avenia
dall’omonimo libro edito da Mondadori
regia Gabriele Vacis
disegno illuminotecnico e sonoro Roberto Tarasco

Il teatro è parola in azione. Per questo Alessandro D’Avenia ha deciso di portare gratuitamente in giro per l’Italia la bellissima storia di Leopardi e delle età della vita, che Leopardi seppe definire meglio di chiunque altro perché fu costretto a viverle più in fretta, più in profondità. Ogni tappa è un’arte da imparare: adolescenza o arte di sperare, maturità o arte di morire, riparazione o arte di essere fragili, morire o arte di rinascere. Tutto questo attraverso una Narr-Azione. Non si tratta di un monologo teatrale, di una parte recitata, ma di una parola che di volta in volta si nutre dei luoghi e degli incontri con le persone, diventando un racconto sempre nuovo, quante sono le serate.
Il teatro diventa una notte di stelle, magari quella di san Lorenzo, quella in cui ci permettiamo il lusso di essere all’altezza dei nostri desideri e li leghiamo al movimento degli astri, come fece Leopardi dall’inizio della sua vita. Minuto dopo minuto il pubblico è inserito in un vero e proprio esercizio di meraviglia, quello di chi scopre la poesia incastrata nella vita quotidiana, il sublime nell’ordinario, e risponde all’appello della bellezza cercando di replicarla. Solo la bellezza provoca quei rapimenti che costrinsero Leopardi a diventare poeta. A 21 anni aveva già scritto L’Infinito. E noi? Noi con le nostre fragilità, debolezze, fallimenti, non sembriamo titolati a far nulla di buono? Non è vero. Leopardi diventò il più grande poeta moderno proprio perché seppe trasformare la sua fragilità in canto, attraversandone le stagioni dell’incanto e del disincanto. Avrebbe avuto tutti gli alibi possibili, ma non si scusò mai di non essere all’altezza, perché decise di “fare qualcosa di bello al mondo, conosciuto che sia o no da altrui” come dice nello Zibaldone. Con la regia di Gabriele Vacis e le scenofonie di Gabriele Tarasco, D’Avenia prova a trasformare un teatro in una classe senza muri, a cielo aperto, perché chiunque partecipi, a qualsiasi età, accompagnato da parola, musica, immagini e lettura dei capolavori leopardiani, possa sperimentare che la notte dei desideri è ogni notte e che la letteratura salva la vita, solo quando siamo disposti ad ascoltarla davvero. In un’epoca in cui sembra che siano titolati a vivere solo i perfetti, questo messaggio è più che mai necessario.

DAL 11 AL 13 OTTOBRE | MER, GIO, VEN ORE 21
FANO | TEATRO DELLA FORTUNA
14 E 15 OTTOBRE | SAB ORE 20.45; DOM ORE 17
SAN BENEDETTO | TEATRO CONCORDIA
Teatro Stabile dell’Umbria
L’ORA DI RICEVIMENTO
(banlieue)
di Stefano Massini
con Fabrizio Bentivoglio
e Francesco Bolo Rossini, Giordano Agrusta, Arianna Ancarani
Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori
Balkissa Maiga, Giulia Zeetti, Marouane Zotti
regia Michele Placido
scena Marco Rossi
costumi Andrea Cavalletto
musiche originali Luca D’Alberto
voce cantante Federica Vincenti
luci Simone De Angelis

Il professor Ardeche è un insegnante di materie letterarie. Un disilluso, un cinico, uno spietato osservatore e un lucidissimo polemista. Fra le sue passioni svettano Rabelais e il Candide di Voltaire. Peccato che la sua classe si trovi nel cuore dell’esplosiva banlieue di Les Izards, ai margini dell’area metropolitana di Tolosa: un luogo in cui la scuola, al di là di Rabelais e di Voltaire, è una trincea contro ogni forma di degrado. La scolaresca che gli è stata affidata quest’anno è ancora una volta un crogiuolo di culture e razze, con l’incognita sempre in agguato di improvvisi crolli: nella convinzione che il vero trionfo sarebbe portare fino in fondo i suoi allievi senza perderne nessuno per strada, il professor Ardeche riceve le famiglie degli scolari ogni settimana per un’ora, dalle 11 alle 12 del giovedì. Ed è attraverso un incalzante mosaico di brevi colloqui con questa umanità assortita di madri e padri, che prende vita sulla scena l’intero anno scolastico della classe Sesta sezione C, da settembre a giugno. Al pubblico spetta il compito di immaginare i visi e le fattezze dei giovanissimi allievi, ognuno ribattezzato dal professor Ardeche con un ironico soprannome, e ognuno protagonista a suo modo di un frammento dello spettacolo. Sullo sfondo, dietro una grande vetrata, un grande albero da frutto sembra assistere impassibile all’avvicendarsi dei personaggi, al dramma dell’esclusione sociale, ai piccoli incidenti scolastici di questi giovani apprendisti della vita. E il ciclo naturale della perdita delle foglie e della successiva fioritura accompagna lo svolgersi regolare di ogni anno scolastico, suonando quasi come un paradosso davanti a quel mondo, esterno alla scuola, che di anno in anno è sempre più diverso. Stefano Massini

Penso che siamo tutti d’accordo nel dire che il teatro italiano è poco connesso con il mutare dei tempi, tenendo conto delle trasformazioni della società. Si distinguono i testi dello scrittore e drammaturgo Stefano Massini, che ben raccontano l’evoluzione del tessuto sociale non solo italiano, ma europeo. Per questo, dopo l’avventura di 7 minuti, che con lo stesso Massini ho adattato per farne un’opera cinematografica, ho accettato con entusiasmo la proposta del Teatro Stabile dell’Umbria, nella figura di Franco Ruggieri, di essere regista a teatro di un altro lavoro di Massini, L’ora di ricevimento. Leggendo il testo, ho capito subito che tra il precedente 7 minuti e L’ora di ricevimento c’è un lavoro di continuità sui grandi cambiamenti che stanno accadendo nella storia sociale europea, cambiamenti che ci riguardano tutti. L’ora di ricevimento racconta, infatti, con verità e ironia, l’incontro–scontro culturale, sociale e religioso tra le famiglie di una classe di bambini delle periferie delle metropoli europee e un professore attento e partecipe alla crescita culturale dei suoi allievi, ma che, nel percorso dell’anno scolastico cui assistiamo, si trova a mettere in discussione il modello educativo di una classe intellettuale borghese sempre più spiazzata dai cambiamenti epocali della recente storia contemporanea. Per il ruolo del Professore ho voluto come compagno di viaggio Fabrizio Bentivoglio, un artista di rara intensità e sensibilità con cui ho già collaborato in due miei film come regista: Un eroe borghese e Del perduto amore. Con Stefano Massini e con Franco Ruggieri abbiamo subito pensato che Fabrizio fosse l’interprete ideale per questo ruolo raro per la drammaturgia italiana. A completare il cast la Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria che vede tra gli altri il “professorino” di Francesco “Bolo” Rossini, Balkissa Maiga già tra le interpreti di 7 minuti e Marouane Zotti che aveva recitato in Lehman Trilogy di Massini con la regia di Luca Ronconi. La possibilità di contribuire al percorso di crescita di un cast di giovani ha reso ancora più stimolante quest’avventura. Ho sempre pensato a un teatro d’ensemble, in cui gli attori diventino parte del progetto sia nella costruzione dei personaggi, sia facendo ricerche sulle abitudini e i costumi, non solo sul proprio personaggio, ma indagando anche su tutti gli altri. Insomma, devono diventare collaboratori stretti, preziosi, non subendo il ruolo del regista, ma diventando corpo unico con lui, dal primo attore al più giovane.
Michele Placido

DAL 18 OTTOBRE AL 12 NOVEMBRE | MER, GIO, VEN, SAB ORE 21; DOM ORE 17
[spettacoli da mercoledì a domenica, posti limitati prenotazione obbligatoria]
SENIGALLIA | PALAZZETTO BAVIERA
Compagnia della Rancia
MONSIEUR IBRAHIM E I FIORI DEL CORANO
di Éric-Emmanuel Schmitt
un racconto di Gabriela Eleonori e Saverio Marconi
regia Saverio Marconi

Gabriela Eleonori e Saverio Marconi, dopo il grande successo di Variazioni Enigmatiche, tornano così a confrontarsi con un testo di Schmitt, e questa volta lo fanno con un racconto intimo, che parla agli spettatori guardandoli negli occhi mentre si compie l’affascinante rito tradizionale del tè turco: un procedimento lento, un sapore antico e familiare, durante il quale si snoda, emozionante, la storia di Monsieur Ibrahim.
È la storia di un’infanzia, “l’infanzia che bisogna lasciare” o quella “da cui bisogna guarire”, di un’emancipazione, del superamento delle difficoltà attraverso un percorso di scoperta, di conoscenza di sé e di culture differenti. Mondi (o sottomondi) che si incontrano, coabitano, in un invito al rispetto delle identità altrui e alla ricerca delle radici comuni “oltre le barriere delle lingue, delle nascite, delle fedi” [G. Fofi, Postfazione]. Una religione fatta di saggezza, lentezza, amore per il bello e per la vita, tolleranza: i «fiori» del testamento spirituale di Monsieur Ibrahim. Lo spettacolo sarà rappresentato a Palazzetto Baviera, appena restituito alla città, fino al 12 novembre, per un numero limitato di spettatori ogni sera.

21 E 22 OTTOBRE | SAB ORE 20.30; DOM ORE 17.30
ASCOLI | TEATRO VENTIDIO BASSO
24 OTTOBRE | ORE 21.15
OSIMO | TEATRO LA NUOVA FENICE
Cardellino Srl
LACCI
di Domenico Starnone tratto dall’omonimo romanzo
con Silvio Orlando
e con Pier Giorgio Bellocchio, Roberto Nobile
Maria Laura Rondanini, Vanessa Scalera, Giacomo de Cataldo
regia Armando Pugliese
scene Roberto Crea costumi Silvia Polidori
musiche Stefano Mainetti luci Gaetano La Mela
Dopo il grande successo de La scuola, riportato in scena, a un trentennio dall’esordio, due anni fa e tuttora in tournée, Silvio Orlando con il nuovo spettacolo Lacci ritorna alla scrittura di Domenico Starnone e penetra da un’altra porta le crepe e le fragilità del mondo in cui viviamo: prima visto attraverso il microcosmo dell’educazione, questa volta attraverso il sistema della famiglia, dove cova ogni giorno la minaccia di crollo per un cosmo ben più grande di quello racchiuso tra le mura di casa. La storia infatti ripercorre le attese, le sconfitte, i ripensamenti interni ad un amore e alle sue conseguenze, e porta già nei nomi una promessa di rovina. Quello che dovrebbe tenere è in pezzi e la caduta porta via a fette grosse il sogno. La violenza interna, come nella tragedia antica, contiene già i semi di più estese guerre e incomprensioni. Una tragedia contemporanea, quasi, mascherata da commedia. «Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie». Si apre infatti così, con parole definitive, la lettera che Vanda scrive al marito che se n’è andato di casa, lasciandola in preda a una tempesta di rabbia impotente e a domande che non trovano risposta. Si sono sposati giovani all’inizio degli anni Sessanta, per desiderio di indipendenza, ma poi attorno a loro il mondo è cambiato, e ritrovarsi a trent’anni con una famiglia a carico è diventato un segno di arretratezza più che di autonomia. Perciò adesso lui se ne sta a Roma, innamorato della grazia lieve di una sconosciuta con cui i giorni sono sempre gioiosi, e lei a Napoli con i figli, a misurare l’estensione del silenzio e il crescere dell’estraneità. Che cosa siamo disposti a sacrificare, pur di non sentirci in trappola? E che cosa perdiamo, quando scegliamo di tornare sui nostri passi? Perché niente è più radicale dell’abbandono, ma niente è più tenace di quei lacci invisibili che legano le persone le une alle altre. E a volte basta un gesto minimo per far riaffiorare quello che abbiamo provato a mettere da parte. Domenico Starnone ci regala una storia emozionante e fortissima, il racconto magistrale di una fuga, di un ritorno, di tutti i fallimenti, quelli che ci sembrano insuperabili e quelli che ci fanno compagnia per una vita intera.

26 OTTOBRE | ORE 21
PESARO | TEATRO ROSSINI
Balletto di Roma
GIULIETTA E ROMEO
liberamente ispirato alla tragedia di William Shakespeare
coreografia Fabrizio Monteverde
musica Sergej Prokof’ev
scene Fabrizio Monteverde
lighting design Emanuele De Maria
produzione Balletto di Roma

+ masterclass gratuita
per gli allievi delle scuole di danza della città

Rinnovato nell’allestimento e nel cast, torna in scena Giulietta e Romeo, una delle produzioni di maggior successo della compagnia del Balletto di Roma, firmata dal coreografo e regista Fabrizio Monteverde. A trent’anni dalla creazione, la danza dell’amore impossibile rinasce sui palcoscenici italiani, ricca della saggezza del tempo e dell’energia del presente. Opera del 1989, già trionfalmente ripresa dal Balletto di Roma nei primi anni del Duemila, Giulietta e Romeo è alla vigilia del nuovo debutto. Per il coreografo Fabrizio Monteverde, un ritorno alle origini dell’ispirazione: “All’epoca della creazione si trattava per me della prima produzione a serata intera per una compagnia di base classica; scelsi di sfidare la tragedia di Shakespeare, opera d’amore e morte, e mi confrontai con la partitura di Prokof’ev, rispettandone i toni e le sequenze narrative. Oggi torno a quella versione che composi a trent’anni, riscoprendo il senso delle mie scelte estetiche e drammaturgiche, ma rimodellandole su nuovi interpreti. Un’esperienza intensa, emotivamente e artisticamente, che coinvolge il mio passato e il mio presente”. Esploso negli anni Novanta, Monteverde è unanimemente considerato uno dei migliori rappresentanti della coreografia italiana degli ultimi trent’anni; unico nel segno registico e drammaturgico, è stato autore di riletture e capovolgimenti di grandi classici della letteratura e del balletto (Otello, La Tempesta, Bolero, Il lago dei cigni), trovando nel racconto l’origine e il completamento della propria ispirazione. Tra visioni cinematografiche e nodi psicoanalitici, Monteverde ha dato vita negli anni ad un proprio caratteristico linguaggio coreografico, stilisticamente ed esteticamente dirompente, che ancora oggi continua ad attrarre nuovi sguardi ed interpretazioni. La Verona degli amanti infelici di Shakespeare si trasforma, nella versione monteverdiana, in un Sud buio e polveroso, reduce da una guerra e alle soglie di una rivoluzione: un muro decrepito mantiene il ricordo di un conflitto mondiale che ha azzerato morale e sentimento, e annuncia, oltre le macerie, un futuro di rinascita e ricostruzione. Nell’Italia contraddittoria del secondo dopoguerra, immobile e fremente, provinciale e inquieta, Giulietta sarà protagonista e vittima di una ribellione giovanile e folle, in fuga da una condizione femminile imposta e suicida di un amore inammissibile. Romeo, silenziosamente appassionato e incoscientemente sognatore, sarà martire della propria fede d’amore innocente. Tra loro, le madri Capuleti e Montecchi, padrone ossessive e compiaciute di una trama resa ancor più tragica dall’intenzionalità dell’odio e dall’istigazione alla vendetta. Originale scrittura d’autore percorsa dai fotogrammi inquieti del cinema neorealista, sciolta da catene storiche e autonoma nell’introspezione dei personaggi, l’opera di Fabrizio Monteverde denuda la trama shakespeariana e ne espone il sentimento cinico e rabbioso, così vicino al suo stesso impeto coreografico. Ne nasce una narrazione essenziale ma appassionata, lirica e crudele, che come il cerchio eterno della vita continuamente risorge dal proprio finale all’alba di un nuovo sentimento d’amore. In scena, nell’allestimento 2017 curato dal coreografo, i danzatori della compagnia del Balletto di Roma, nuovi interpreti di una storia eterna e immagine ideale di una giovinezza sospesa nel tempo. Tra loro, Azzurra Schena, Giulietta nella versione del 2008 e nella tournée di successo in Cina del 2011, oggi nuovamente protagonista accanto a Luca Pannacci, esperto solista al debutto nei panni di Romeo. La squadra di Giulietta e Romeo torna con un’altra storica presenza del Balletto di Roma, Anna Manes, già protagonista di tutte le maggiori produzioni della compagnia, Lady Montecchi nelle passate rappresentazioni del balletto e oggi assistente ripetitrice di Fabrizio Monteverde.

29 OTTOBRE | ORE 17
PESARO | TEATRO SPERIMENTALE
Andar x fiabe
DIMODOCHÉ
di e con Gek Tessaro

Ci sono una ruspetta, una ruspa, una betoniera, una gru e tutti insieme lavorano tutto il giorno senza sosta scavando e ammonticchiando terra da far portare via lontano dai camion. Ma quando cala la notte, tutto si ferma, tutto tace e si dà spazio solo al frinire dei grilli e al silenzio.
Dimodiché è il titolo del nuovo spettacolo di teatro disegnato di Gek Tessaro! Siete pronti per un’ora di risate e di poesia? Di magia, di colori, di ombre, di luci e di personaggi che si animano grazie alla maestria di questo straordinario artista? Gek Tessaro racconta una coloratissima e divertente storia di macchinari che amano il proprio lavoro e in particolare di una piccola ruspa piena di entusiasmo e domande e “però però” che fanno sorridere e appassionare. Surreale e poetico Dimodoché ci fa immaginare montagne capovolte e laghi con barche e pesci e montagne con mucche dalle facce buffe, dando voce a quell’immaginario bambino che sono quei gran mostri un po’ giocattolosi come appunto le ruspe e le betoniere.
31 OTTOBRE E 1 NOVEMBRE | ORE 21
MACERATA | TEATRO LAURO ROSSI
Teatro Metastasio di Prato
RICHARD II
di William Shakespeare
traduzione Peter Stein
con Maddalena Crippa, Alessandro Averone, Gianluigi Fogacci
Vincenzo Giordano, Paolo Graziosi, Andrea Nicolini, Graziano Piazza, Almerica Schiavo
e con Marco De Gaudio, Luca Iervolino, Giovanni Longhin, Michele Maccaroni
Laurence Mazzoni, Matteo Romoli, Alessandro Sampaoli
scenografia Ferdinand Woegerbauer
costumi Anna Maria Heinreich
luci Roberto Innocenti
assistente alla regia Carlo Bellamio
regia Peter Stein

Richard II occupa un posto particolare nell’opera di Shakespeare, anche fra le sue tragedie dedicate ai Re.
Il dramma tratta esclusivamente della deposizione di un re legittimo – un tema politico eminente che facilmente si può trasporre ai nostri tempi: è possibile deporre un sovrano legittimo? Il nuovo re non è un usurpatore? Una tale deposizione non è simile all’assassinio di ogni ordine tradizionale? Durante il suo regno Richard II ha messo contro di sé tutte le forze sociali: egli ha sfruttato il proprio potere in tutte le direzioni immaginabili, egli ha sconfinato le proprie competenze e si è preso ogni libertà, anche sessuale. È un giocatore, un attore, ma pur sempre un re che, anche dopo la sua deposizione, rimane un re; mentre il suo rivale – che prende il suo posto sul trono come usurpatore – genera esattamente lo stesso meccanismo di ostilità contro il suo potere, poiché tale potere si basa sul puro arbitrio.
Richard, che nella sua esaltazione va oltre il proprio tempo, poiché la monarchia assoluta si sarebbe sviluppata molto più tardi, può essere intrepretato utilmente da una donna che recita la parte maschile. In questo modo diventa ancora più chiaro il carattere inconsueto di questo re e gli aspetti fondamentali della discussione politica risultano più evidenti. Anche la profonda malinconia dell’ultimo monologo di Richard, quando è in carcere, dove parla dell’inutilità e della mancanza di senso dell’esistenza umana, ci può toccare in modo più commovente. Peter Stein

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